A Reggio Calabria, in pieno
centro, a ridosso del Museo Nazionale*, in un giardinetto che prelude al
Lungomare, c’è un bel monumento a Corrado Alvaro (http://it.wikipedia.org/wiki/Corrado_Alvaro).
Non il solito busto, con tanto di frase a effetto. Ma una serie di enormi blocchi di
marmo con sopra incisi alcuni passaggi mirabili tratti dalle opere dello
scrittore di San Luca, paesino non lontano dalla città calabrese. “Gente in
Aspromonte” andrebbe utilizzato come libro di testo nelle scuole del
Mezzogiorno d’Italia. Non per fare del meridionalismo da carrello della spesa
nell’ipermercato. Ma giusto per capire perché siamo così, quando lo siamo
diventati. Se è per il caldo, se è colpa dei “piemontesi”, se le responsabilità
sono tutte dei “politici” o dei mafiosi. O forse solo perché siamo così e
basta. Noi, la gente del Sud.
Ho ricopiato alcuni dei brani di
Alvaro riportati sui blocchi del monumento. Li offro all’attenzione di chi
vorrà leggerli e magari di lì trarre spunto per chiedere in biblioteca una
delle sue opere.
Dicevo che è anche troppo quello che sono riuscito a combinare con
tutti gli inconvenienti con cui sono partito: meridionale, povero, scrittore.
(Mastrangelina)
La donna è il personaggio più importante e più autentico della
Calabria. È anche il lusso di una natura scabra, immiserita dagli uomini.
(Ultimo diario)
I calabresi hanno un senso della fatalità, concepiscono la vita
sull’immagine delle loro fiumare che presto o tardi travolgono ogni cosa.
“Piegati albero, che passa la piena“ è un loro motto. (L’amata alla
finestra)
La favola della vita m’interessa più della vita. (La moglie)
Nella quiete dopo la tempesta nulla più duole. Gli arcobaleni che
spiegano il loro vessillo sui cieli placati, i verdi mari prativi di dopo la
tempesta, le piogge dopo le epidemie che fanno risentire parente l’odore della
terra, ecco altrettante immagini placate dopo i cataclismi e con esse quel
forte attaccamento alla vita che si riaccende più impetuosa dopo tali fatti e
di radica nuovamente nei luoghi dove fu distruzione. Mai, a meno che non sia
intervenuto un decreto degli uomini, nessuna città, dopo il flagello, portò i
suoi focolari altrove. Si dice della memoria del dolore, ma essa è breve al
confronto della memoria della vita e dell’umile gioia d’essere. Ecco la benigna
natura. (Un treno nel sud)
(*) Poi dice che noi siamo del
sud. Il Museo Nazionale di Reggio è chiuso per lavori da anni. Conservano
(conservavano) i Bronzi di Riace, uno dei capolavori dell’umanità. Che oggi
sono conservati, messi lì un po’ per caso, come un paio di scarpe comprati con
enorme entusiasmo e poi riposti nella scarpiera perché sono belle, sì, ma fanno
un po’ male al callo, nell’androne della sede della Regione Calabria. Ah,
dimenticavo. I due giganti stanno in due teche di vetro. In posizione
orizzontale. Sdraiati.
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