L’INTERVISTA A TONI SANTAGATA. È STATA PUBBLICATA SUL
SETTIMANALE IL RESTO, EDITO A ALTAMURA
L’incontro tra Vito Grittani e Toni Santagata è stato
casuale. Una volta erano in un locale, a Roma. Vito ha chiesto a un amico che
conosceva il cantante pugliese di dirgli che c’era una persona a cui sarebbe
piaciuto ricordare che la sua famiglia, quando emigrò in Germania negli anni
Settanta, aveva un tuffo al cuore ogni volta che lui cantava le sue canzoni con
quello strano dialetto. Un dialetto che non era pugliese. Era la lingua di
tutte le Puglie messe assieme. Il foggiano s’avvicinò e salutò Vito. L’uno
inorgoglito dalla conoscenza di un personaggio famoso, anche se ormai in là con
gli anni; l’altro inorgoglito dal fatto di essere stato notato e chiamato per
le presentazioni.
Toni conferma la versione di Vito: non sapevo assolutamente
che fosse sulla sedia a rotelle. Perché qualcuno potrebbe pensare che l’abbia
fatto solo perché ero stato invitato da un disabile. Assolutamente. Lo feci per
curiosità. Oggi posso dire di aver conosciuto una persona straordinaria. Sono
le conclusioni tratte da entrambi.
Ho conosciuto personalmente Tony al party dato
dall’ambasciatore della Corea del Sud nella sua residenza di via Della Mendola,
a Roma. Per molte ore, lo chansonnier di Santagata di Puglia, classe 1936, ha
parlato della sua vita, di avventure e disavventure. L’intervista è stata
pubblicata dal settimanale Il Resto, diretto da Nicola Mangialardi.
“Vedi questa casa? Ci abito da oltre trent’anni. Attico e
superattico in via Cassia. Arrivammo insieme, io e Lucio Battisti. Praticamente
nella stessa giornata ci rivolgemmo all’imprenditore Umberto Lenzini. All’epoca
era presidente della Lazio. Lui disse: la darà a Tony Santagata. Lucio fu
costretto a ripiegare su un altro appartamento, una palazzina a venti metri
dalla mia, al terzo piano. Grazia Letizia Veronese abita ancora lì, è buona
amica di mia moglie”.
Tony Santagata è un torrente in piena. Al party per la festa
nazionale della Corea del Sud, in via Della Mendola, all’Olgiata, non lontano
da casa sua, omaggia l’ambasciatore coreano di una delle sue ultime fatiche
canore. Il diplomatico asiatico, sotto lo sguardo sornione di Vito Grittani,
mostra di apprezzare. Nel prosieguo della lunga serata, l’intervista si
trasforma in una conversazione e quindi in un torrentizio monologo. Soprattutto
quando, insieme, passeggiamo nella zona che una volta pullulava di locali, dal
Folkstudio al Bagaglino. Che più o meno mezzo secolo fa, lo vedevano tra i
protagonisti della dolce vita romana.
Dietro il Pantheon, seduti al ristorantino ‘La Miscellanea’,
serviti da un vispo ragazzo moldavo, racconta di quando, lui poco più che
adolescente, Padre Pio rispose alla sua insistente domanda ‘Mio padre vuole che
studi, ma io voglio cantare: cosa devo fare?’, il frate delle stimmate rispose:
‘Studia, uagliò, studia. Anche se lo so che cosa farai, finirai per andare a
fare il cantante. Hai la coccia dei foggiani della montagna, tu. Ah, uagliò –
aggiunse – però mi raccomanda: canta di Dio’. Quello di Francesco Forgione fu
una sorta di vaticinio. Santagata di sarebbe ritrovato San Pio – stavolta non
davanti, bensì dentro -, in un passaggio cruciale della sua vita: la grave
malattia della moglie. “Mi affidai completamente a lui – racconta -: ebbi la
fortuna di incontrare medici straordinari. Da allora, le mie preghiere sono
state ancora più intense”.
Uno dei momenti più importanti della sua carriera artistica
è la messa in scena della sua opera (“Lo vogliamo chiamare musical? Facciamo
pure. Per me resta un’opera: certo scritta in modo diverso da quelle
ottocentesche, quelle della grande tradizione italiana, ma pur sempre
un’opera”) dedicata al santo di Pietrelcina. “Dovevamo eseguirla dinanzi ad un
altro gigante della terra, Giovanni Paolo 2°. Furono momenti straordinari.
Santagata è molto legato alle sue origini. E non solo perché
quello strano dialetto pugliese utilizzato in moltissime delle sue canzoni, ha
contribuito alla sua fama: “Lasciamo stare i ‘Beri’ (chiaro riferimento a Lino
Banfi, ndr) e i facili e un po’ ruffiani rifacimenti dei classici napoletani
(Renzo Arbore, ndr). Io ho portato sulle platee un linguaggio che faceva
riferimento alla Puglia intera. Anzi, alle Puglie”. Tony diventa prima
professore di storia raccontando l’assedio di Accadia. Poi si fa psicologo
dell’anima: “Qualche tempo fa, in macchina, sbagliai strada. Mi ritrovai
sull’orlo della diga di Occhitto. Decisi di proseguire: fu come un viaggio
nelle viscere della terra, della mia terra. Terra umile. Il paese dell’anima,
della mia e della mia gente che ancora resisteva in quei posti poveri ma ricchi
di fascino, da San Marco La Catola a Alberona, da Volturara a Motta
Montecorvino”.
E la Puglia di oggi? Piace a Tony Santagata? È diventata un
laboratorio politico eccezionale, con quel governatore comunista e pure gay.
“Di politico non m’interesso. Sennò avrei accettato l’invito di Aldo Moro. Nel
1976 quell’uomo straordinario, quella persona eccezionalmente colta che parlava
in toni pacati e educati, mi propose di candidarmi per la Democrazia Cristiana.
Per tornare all’attualità, non mi pare che essere omosessuali sia uno scandalo.
Anzi. Sapete bene che il mondo che ho frequentato e frequento ne è pieno.
Spesso è addirittura la regola. Mi piace invece la grande dignità di Vendola.
Per il resto, di destra o di sinistra, l’importante è che gli amministratori e
i politici a qualsiasi livello siano onesti. Sennò che futuro potremo costruire
per quei miei nipotini che stasera sono a casa a far compagnia alla nonna?”