C’era un ragazzino in un paese della Daunia. La guerra era
finita da poco. La fame no. Per uno strano caso venne invitato a pranzo in casa
di un notabile del paese. Per alcuni giorni la sua vita cambiò. Il testo di
Matteo Salvatore, uno dei grandi cantori del Sud, viene reso in modo
straordinario da Sergio Rubini. Dopo il fiume di note e di parole generato
dagli Spread – il gruppo di bancari trasformatisi in attori-musicisti-cantanti per
lo spettacolo “My fair bank -, l’impatto con Rubini è ammaliante. Il racconto e
la voce narrante conducono in un’altra dimensione I bancari musicisti-attori-cantanti,
quasi dei “saltimbanca”. Il palco è la loro nuvola, la professionalità è
altissima, non solo un’alternativa al lavoro, un altro modo di guardare alla
vita. Senza le ossessioni del budget, dei conti, dei soldi, dei mercati, delle
stock option e dei bond. Musica e parole anche per prendere in giro e prendersi
in giro. Il vento dell’ironia soffia leggero.
La brezza della serata al sontuoso Auditorium della Scuola
Allievi della Guardia di Finanza al San Paolo ha anche il nobile alito della
beneficenza. L’incasso infatti è destinato ad un progetto promosso dal Reparto
Oncologia dell’ospedale Di Venere, a Carbonara.
E infatti, per Rubini “My fair bank”, quello di venerdì 31
maggio, “è” l’evento: <Perché c’è un obiettivo nobile – dice l’attore e
regista grumese -. Loro fanno un altro lavoro e ogni tanto fanno convergere,
tutti insieme, la loro passione per una forma d’arte molto particolare, che
comporta stare sul palcoscenico, offrire e offrirsi al pubblico dal vivo>.
Sergio Rubini è venuto apposta a Bari. Sarebbe ripartito
l’indomani mattina. Una nobile causa vale la faticaccia.
Rubini, il film a cui è più affezionato? Scommetto La
stazione.
<Sono affezionato a tutti i miei film. La stazione è il mio
primo film. Però sono affezionato anche all’ultimo>.
E La terra? Lì era cattivo,
viscido, infido. Proprio brutto.
<In effetti era un ruolo particolarmente sgradevole. Ma
il cinema è il bene e il male mescolato e frullato>.
Fellini?
<Un grandissimo artista amatoriale. Amatoriale proprio
come i grandi amici che si sono offerti questa stasera>.
È diventato ambasciatore dell’olio extravergine di Puglia.
<È un progetto che non so a che punto sia. Ma è un grande
onore. E’ un po’ come essere ambasciatore della pizza a Napoli>.
La pugliesità è fondamentale nella sua vita personale e di
artista.
<Uno che fa il mio mestiere non può non attingere alla
propria storia personale, alle proprie origini>.
La terra, un po’ per tornare al film citato prima, esprime
al massimo proprio la pugliesità, le radici. A proposito. Grumo Appula?
<Grumo una volta era un paese tranquillo. Lo era quando io
sono andato via>. Adesso è un paese che a volte è un po’ più violento. Non
fa piacere scoprire che un po’ tutto il Sud, la provincia rischia di diventare periferia
della grande città, che sia Napoli o Bari o Reggio Calabria. Con tutto quello
che comporta, soprattutto in negativo. Comunque, resto molto affezionato al mio
paese. Lì ho la famiglia, gli amici>.
Per diventare grandi bisogna andare a Hollywood come
Muccino?
<Nooo. Per diventare grandi bisogna restare piccoli. Saper
restare piccoli>.
Lo stato di salute del cinema italiano secondo Sergio
Rubini?
<È in perenne crisi. Tuttavia diceva Holderlin che dove
c’è crisi c’è salvezza. Se c’è crisi, vuol dire che alla base c’è garanzia che
qualcosa che si muove, che vuole crescere. E quindi la situazione in quelche
modo ci deve rassicurare. Nessuna iundusitra può restare in situazione di
stallo, sennò è la fine. È un mondo che deve muoversi. La crisi è in qualche
modo testimonianza che c’è perenne movimento>.
La Puglia Film Commission. Una mano al cinema pugliese. E
alla Puglia.
<Assolutamente sì. È stata una grande intuizione quando
Nichi(Vendola, ndr) ha pensato di farla diventare veramente e pienamente operativa.
Vengono tantissime compagnie a girare qui. In fondo, è una maniera, come dire,
per divulgare questa terra bellissima. I nostri scenari possono diventare un
business. Perché, non dimentichiamo che la cultura è business. Ce ne rendiamo
conto tutti. Solo Tremonti non l’aveva capito>.
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