La festa grande è fatta di sensazioni, di odori, di sapori, di musiche, di parole, di gesti, di fatica. E' un po' il tempo del ripensamento: una stagione sta per ricominciare, che sia di lavoro o di studio. Il tempo del mare è terminato, anche se qualche giorno resta, anche se in spiaggia si va, violando la sacralità dei giorni della festa. Una sacralità ormai confinata nelle case dei più anziani. Gli altri non conoscono riti e rituali, non li ammettono, li scansano: troppo faticosi, meglio il telefonino, il tablet, Internet, lo straniarsi da usi e costumi troppo superati.
Restano tuttavia immutati e immutabili la passeggiata, lo struscio nel corso; le bancarelle; i cinesi e gli africani che puzzano; il panino con la mortadella e il provolone; la granita di limone seduti fuori del bar della piazza ad ascoltare le musiche che provengono dall'orchestra: oh, ma sai che quella Turandot è proprio bella, quest'altr'anno andremo al Petruzzelli, la danno a novembre, ma che c'importa di spendere ottanta euro, si campa una volta sola.

Il "sabato-vigilia" passa. E' domenica. I pellegrini arrivano dalle tre di notte: cantano gli inni, gli evvivamaria. Attenderanno le processioni. Quella dei ceri, del mattino, suggestiva, con i biscegliesi scalzi, con i gioiesi, i massafresi, i coratini, i laertini. Con i giovani che non t'aspetti, la bella gente cattolica che non conosci. I penitenti gravati da enormi ceri ("vuol dire che il peccato è grosso..."); il discorso del sindaco (sì, ma era meglio quello dell'anno scorso, ma vuoi mettere le parole che diceva il sindaco dell'altra volta..., però è giovane, è bravo, deve imparare); la predica dell'arciprete (ma non se ne deve andare in pensione?; ma non si sente mai niente a quel dannato megafono); il nuovo presidente del Comitato feste (beh, sì, ci sta mettendo impegno, ha lavorato alle tasse, sa come si chiedono i soldi alla gente, ma vuoi mettere i tempi di...
Il rientro della statua in basilica è uno dei momenti più suggestivi della domenica, struggente, stringente, trascinante, coinvolgente. Dopo l'abbuffata a tavola, la pausa e la serata, nell'attesa dei carro trionfale: gli angeli? e mettono sempre loro, basta stare vicino ai monaci; i biscegliesi? e si mettono sempre loro, e lo pretendono pure, guai a toccargli le corde; il corteo storico? e si mettono sempre loro, iiii, che va facendo quello là con quel cilindro, come pare brutto, andasse a guardare dentro a casa sua.
Esplodono di nuovo i fuochi d'artificio. L'arbitro della vita e dei giorni, decreta la fine della partita attesa un anno. Resta il ricordo di una giornata lunga, estenuante: madonna, è già passata, mo' era la Pasqua e già la festa se n'è andata e ci viene addosso Natale e poi l'inverno; è tanto bella la staggione.
Bella la festa. Bella l'umanità varia che la vive. Diffidate dello schifiltoso scettico blue che pensa che è roba da periferia del mondo civile, che è roba da periferia geografica, che è roba da periferia psicosociale.
E' la festa grande. Non releghiamola mai alla periferia del cuore.
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