giovedì 15 agosto 2013

UNA STORIA DI FAMIGLIA

Primi giorni di giugno del Cinquantanove. Gli sposi al centro sono Maria Tatoli, 22 anni, e Pasquale Prigigallo, 24. La guerra li ha appena sfiorati. Il ricordo delle bombe è lontano. Lui stranamente non ha seguito il padre nel suo mestiere. Fa il sarto. Aveva appreso il mestiere con il maestro Signorile a Capurso e soprattutto con il maestro Pisciotta, uno dei sarti più noti di Bari. Lei ha sempre lavorato nel negozio con madre e padre, assimilando un tuttora indomito spirito del fare.
All'estrema sinistra, Vito Prigigallo; al suo fianco Isabella Mastrolonardo. A destra, Sergio Tatoli, al suo fianco la moglie Maria Giuseppa Cariello.
Tatoli, che tutti a Capurso conoscevano come Seriuccio il nocellaio, è originario di Bisceglie. Lascia la cittadina sul mare da giovanissimo per vendere sapone "attorno". Poi, l'occasione di aprire la bottega, una salumeria in piazza Marconi. Il locale è a piano stradale di un palazzotto di proprietà di una famiglie capursese da tempo migrata a Terlizzi. Nel negozio ci sta anche lei, Peppinella. L'attività funziona. C'è molta clientela di passaggio, oltre a quella paesana, e non solo quella appartenente ai ceti sociali più bassi. Quelli, tanto per intenderci, che paga ogni quindici giorni e i cui conti sono segnati con scrittura incerta su un quaderno nero con i profili esterni dei fogli rossi. La libretta: Bubbù tremiladuecento lire; quella del Bianco diecimilasettecentocinquanta, comma Memmina seimila. Peppinella, la cui famiglia è originaria di Bitonto, un fratello disperso in Russia, un altro "sgammitt" a Milano, non sa né leggere né scrivere. Però sa far di conto. E interpreta la bilancia con straordinaria rapidità: un quinto viene tanto,  un chilo e mezzo tanto. Subito dietro il negozio vero e proprio ci sono i sacchi di iuta pesante della merce sfusa: la "canigghia", il granone, i ceci e gli altri legumi, la farina e la semola. L'abitazione è sul retro. "Esce" sul borgo antico, in una corte dove abitano anche Elisa delle uova e Teresina la Barese. Peppinella alla controra di un'estate che comincia a maggio e finisce a settembre, con la Fiera del Levante, dorme sulle sedie: ne mette in fila due, quelle apri e chiudi, e si stende una mezzoretta. Fino agli anni Sessanta si fa il pane. Maria, quinta figlia dopo quattro fratelli (Peppinella aveva perso altri cinque figli), aiuta a impastare e a infornare. Il momento topico era la festa della Madonna del Pozzo. Seriuccio fa il formaggio nella "stalla", come viene comunemente chiamato un locale a fianco al negozio, all'interno del "portone". La stalla, che con gli animali non ha nulla a che fare, è in realtà un deposito stretto e lungo. E' tappezzato di manifesti cinematografici: c'è Ursus contro l'Idra e Scaramouche. A Seriuccio, evidentemente, piacciono i film di cappa e spada. Qui Seriuccio fa il formaggio "punto". Che è il frutto di un procedimento particolare e molto lungo, co il trucco della ricotta "asc'quanda". Il successo si commisura con  presenza e numero dei vermi, esito di una perfetta fermentazione. Sulla "baracca" che viene allestita nei giorni della festa della Madonna, il formaggio "fradicio" ha un posto d'onore, insieme ai "mignetti", al "tomacchio" e al provolone Auricchio. Subito dietro, appesi a un'asta di ferro, ci sono le bottiglie di stocco e baccalà. Prima che venisse costruita la strada a quattro corsie, la statale cento attraversava il paese e tagliava piazza Marconi. La salumeria è tappa d'obbligo per i camionisti. Quando Seriuccio s'accorge che un autista ha origini settentrionali, non manca di narrare un'impresa, magari in parte inventata, vissuta nel Varesotto, dove ha vissuto per qualche tempo. Si arma di accento lumbard ("Peppinella passami un faggioletto che debbo assupparmi il sudore") e sostiene lunghe discussioni con il camionista, magari mentre disossa un prosciutto crudo di San Daniele. Fuori, al sole feroce dell'estate, transita l'ennesimo gregge di pecore che lastrica il selciato di piazza Marconi di miriadi di palline nere.
Rispettivamente classe 1906 e 1909, Peppinella e Seriuccio lasciano il negozio a metà degli anni Settanta. Lui se ne va per sempre quasi subito. Lei vive ancora a lungo, godendosi una serena vecchiaia.
Vituccio la P'cchj (sull'etimo di questo soprannome nessuno fino ha dato spiegazioni plausibili) è  muratore, anzi fabbricatore per dirla italianizzando un termine dialettale. A lungo "maestro cucchiaio", diventa poi ditta. Ha costruito molto, a Capurso e Triggiano. Non si arricchirà mai, pur avendone avuto forse la possibilità e pur lasciando delle piccole proprietà ai figli. In gioventù ha lavorato a Taranto. Nella città jonica si reca in bicicletta. Suo padre era riservista durante la Grande Guerra. Una sera scappò per incontrare Francesca, la sua donna. Una fuga che gli sarebbe costata cara. Mandato al fronte, di Pasquale non resta che un nome inciso su una delle lapidi del monumento ai caduti, nei giardini pubblici. La moglie qualche anno dopo si sarebbe risposata. Vituccio era nelle liste per l'Armir, il corpo d'armata in partenza per la Russia. A Taranto conobbe un medico che gli suggerisce l'unico modo per non andare in guerra: togliersi tutti i denti. Lo fa. E' dirottato in Albania, con le truppe di occupazione. Una notte è di guardia, con un commilitone di Mondvì. Sente dei rumori, dà l'allarme. Tutti, fifoni come lui, cominciano a sparare all'impazzata. Alle prime luci dell'alba, escono in perlustrazione e scovano il nemico: un mulo disperso, colpito almeno cinquanta volte e morto stecchito. Sabellina lavora al croché. L'avrebbe fatto per lunghi anni. Fa correre il grosso ago di ferro e aspetta che il marito torni dal cantiere. Più che tirchia, è un po' tirata. Al figlio, una volta, comprò un cappotto pesantissimo e di lana grezza. "Mammà, è grande". "Meglio, ti andrà bene fra un paio d'anni". Vituccio è orgoglioso di aver fatto l'assessore. E' amministratore comunale per poco tempo, negli anni Cinquanta. Non ha un carattere facile, ma è molto apprezzato in paese, anche se a volte la sua brutale franchezza lo fa litigare. Una volta, mentre in bicicletta va a Taranto, sulla via di Casamassima, all'altezza delle casermette che gli inglesi avevano costruito dove ora c'è il parco, rinviene un borsone. E' stracolmo di amlire. Lo restituisce all'headquarter, al comando inglese. "Anche se non se lo meritavano", racconta: "per costruire quelle caserme hanno distrutto il castello", dice con un rigurgito di senso civico, riferendosi ai tufi del palazzo marchesale che gli Alleati utilizzarono per costruire i depositi.
Hanno sempre vissuto in via padre Agostino Pacifico. Quanti traini hanno visto passare quei tre scalini della casa a due piani vicino a "Quattrofichi" e al forno di Vincenzo. Classe 1912, Vituccio vive a lungo e si gloria di non aver mai avuto una malattia. Una volta, caduto dalla scala "sopra alla fatica", forse l'ultimo anno prima della pensione, è ricoverato al "Fallacara" di Triggiano. Dove i medici sbagliano l'intervento: la riduzione della frattura provoca una "riduzione" della misura di una gamba". Che, sotto le coperte del letto di ospedale, risulta evidente. Il figlio lo fa notare all'ortopedico, che risponde: e di che si preoccupa, suo padre ha quasi settant'anni. Vituccio soffrirà molto per quella zoppia: si sarebbe fatto costruire una scarpa con una suola di alcuni centimetri per camminare meglio. Sabellina lascia questo mondo anch'ella in tarda età, dopo essere stata per molti anni affetta da una malattia renale che la costringeva all'emodialisi.

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