sabato 24 agosto 2013

SORRY

Capurso, piazza Umberto, vigilia della Festa Grande.
Le gigantografie apposte a lato della cassarmonica
i'm sorry

LA FESTA GRANDE

Benvenuti, giorni di festa. Salutati dai colpi esplosi per aprire il sipario su un palcoscenico immutato e forse immutabile. I fuochi del mattino del venerdì sono il fischio d'inizio di una grande partita, attesa un anno. Pur in tempi veloci e cinici, liquidi e distratti, la festa di paese rimane appuntamento ineludibile. E la vigilia, come diceva il poeta di Recanati, "di sette è il giorno più gradito, pien di speme e di gioia".
La festa grande è fatta di sensazioni, di odori, di sapori, di musiche, di parole, di gesti, di fatica. E' un po' il tempo del ripensamento: una stagione sta per ricominciare, che sia di lavoro o di studio. Il tempo del mare è terminato, anche se qualche giorno resta, anche se in spiaggia si va, violando la sacralità dei giorni della festa. Una sacralità ormai confinata nelle case dei più anziani. Gli altri non conoscono riti e rituali, non li ammettono, li scansano: troppo faticosi, meglio il telefonino, il tablet, Internet, lo straniarsi da usi e costumi troppo superati.
Restano tuttavia immutati e immutabili la passeggiata, lo struscio nel corso; le bancarelle; i cinesi e gli africani che puzzano; il panino con la mortadella e il provolone; la granita di limone seduti fuori del bar della piazza ad ascoltare le musiche che provengono dall'orchestra: oh, ma sai che quella Turandot è proprio bella, quest'altr'anno andremo al Petruzzelli, la danno a novembre, ma che c'importa di spendere ottanta euro, si campa una volta sola.
E ci sono le luminarie (sono sempre migliori quelle di Rutigliano, per non dire di quelle leceesi, non c'è paragone). E ci sono i palloni aerostatici: ma ce l'ha l'autorizzazione quel mezzo folle che però è simpatico, bestemmia sempre "lo spirito denaturato". E ci sono le giostre: sì, però sono diventate care, ma perché le mettono così lontane, ci sono tanti posti, e i biglietti, io quest'anno li ho avuti, sì ma i politici le danno sempre a chi vogliono loro, amici, parenti e elettori, però quest'altr'anno denuncio tutti, vado ai carabinieri, al prefetto, all'opposizione, ne farò parlare in consiglio comunale. E ci sono le bancarelle: sì, ma quanti abusivi, e i vigili dove sono?, e qui non si può neppure passare, ma quanta gente, sembra di stare alla Osciàn, sì ma io non ci vado mai, ecchecos'è tutta quella gente, mi dà un fastidio, mi fa venire il mal di testa, e poi non è vero che si risparmia, il dash io lo pago la metà. E ci sono i fuochi d'artificio: ma vuoi mettere quelli musicali?, sì ma a questa festa non ci sono mai i soldi, eppure arrivano dall'America, dal Canadà, dalla Germania, sì ma i commercianti non mettono mai niente, loro voglio solo guadagnare, ma mai che mettono cento euro ciascuno per far venire un cantante. E poi ci sono i cantanti: ah, il cantante c'è?, ma per forza, l'ha messo la provincia, il comune c'ha i soldi solo per fare la cultura e il jazz, i libri che conoscono solo loro e i giochi dove stanno solo loro, ah, la cantante è importante?, sì, ma a Rutigliano viene Fiorella Mannoia, vuoi mettere? E ci sono i provoloni appesi: sì, ma vte li ricordi quelli di Seriuccio, di Giggino e di Ninuccio, quelli sì che erano panini, non quelli di gomma di ora. E ci sono i foconi, con il profumo inebriante degli involtini alla brace (e su questo c'è poco da dire: non ci si lamenta nemmeno del fumo intenso, tant'è saporoso e portatore del gusto della festa).

Il "sabato-vigilia" passa. E' domenica. I pellegrini arrivano dalle tre di notte: cantano gli inni, gli evvivamaria. Attenderanno le processioni. Quella dei ceri, del mattino, suggestiva, con i biscegliesi scalzi, con i gioiesi, i massafresi, i coratini, i laertini. Con i giovani che non t'aspetti, la bella gente cattolica che non conosci. I penitenti gravati da enormi ceri ("vuol dire che il peccato è grosso..."); il discorso del sindaco (sì, ma era meglio quello dell'anno scorso, ma vuoi mettere le parole che diceva il sindaco dell'altra volta..., però è giovane, è bravo, deve imparare); la predica dell'arciprete (ma non se ne deve andare in pensione?; ma non si sente mai niente a quel dannato megafono); il nuovo presidente del Comitato feste (beh, sì, ci sta mettendo impegno, ha lavorato alle tasse, sa come si chiedono i soldi alla gente, ma vuoi mettere i tempi di...

Il rientro della statua in basilica è uno dei momenti più suggestivi della domenica, struggente, stringente, trascinante, coinvolgente. Dopo l'abbuffata a tavola, la pausa e la serata, nell'attesa dei carro trionfale: gli angeli? e mettono sempre loro, basta stare vicino ai monaci; i biscegliesi? e si mettono sempre loro, e lo pretendono pure, guai a toccargli le corde; il corteo storico? e si mettono sempre loro, iiii, che va facendo quello là con quel cilindro, come pare brutto, andasse a guardare dentro a casa sua.
Esplodono di nuovo i fuochi d'artificio. L'arbitro della vita e dei giorni, decreta la fine della partita attesa un anno. Resta il ricordo di una giornata lunga, estenuante: madonna, è già passata, mo' era la Pasqua e già la festa se n'è andata e ci viene addosso Natale e poi l'inverno; è tanto bella la staggione.
Bella la festa. Bella l'umanità varia che la vive. Diffidate dello schifiltoso scettico blue che pensa che è roba da periferia del mondo civile, che è roba da periferia geografica, che è roba da periferia psicosociale.
E' la festa grande. Non releghiamola mai alla periferia del cuore.

ALBERI DI FICO E DI CARRUBO

Passeggiando per le vie del paese vestito a festa, si fanno strani incontri. Persone, appunto, vestite a festa. Tipi che non vedi da anni. Emigranti che si sono fatti i soldi sulla Riviera romagnola. Parenti, vecchi amici dimenticati e che avresti preferito non incontrare (non sai mai, in questi casi, se salutare e e basta o fermarti, stringergli la mano e chiacchierare su insulsaggini varie).
E ti imbatti in cose svariate: granite di limone al bar in piazza, grancasse e

tromboni della banda di paese, giostre e bancarelle. In un angolo di una di queste, il commerciante aveva allestito una "vetrina" tutta particolare. Non so se la sua era allusione sessuale volontaria o casuale (la presenza delle banane mi fa propendere per la prima ipotesi). Il frutto del fico viene chiamato "fica". Ho fatto una rapidissima ricerca in Rete. E c'è una domanda (senza risposta) che viene posta da Yahoo! answers: "Perché il frutto del fico si dice al maschile e non al femminile come tutti gli altri frutti?". Beh, vi concedo di arrovellarvi sul fenomeno linguistico-lessicale-semantico. E su tutte le implicazioni (e complicazioni) che il caso comporta e suggerisce.
Qualche anno fa m'imbattei, in una strada dello stesso paese, sempre negli stessi giorni di festa, in un altro venditore. Ben più modesto. Lui aveva esposto la mercanzia sul gradino dell'uscio di casa. Non aveva ceduto a volontà allusive e pruriginose. Aveva chiamato i frutti del carrubo, carrube. E non "corn" come il dialetto suggerisce e per certi versi impone. Il commerciante improvvisato qualche mese fa se n'è andato per sempre. In silenzio, modestamente, come aveva sempre vissuto. Era un ometto di nemmeno un metro e sessanta. Ma ogni anno mi ricordava che c'era la festa che s'appressava: le sue carrube esposte sul marciapiedi erano più di un manifesto, erano un avviso pubblico che se Leopardi avesse avuto modo di vedere, gli avrebbe dedicato una strofa, anche un solo rigo, nel suo straordinario Sabato del villaggio.

PERSONE / BISCOZZI, MORTE DI UN GALANTUOMO

Conobbi personalmente Franco Biscozzi a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta. Michele Lopez, allora presidente, avevo deciso di mollare. Troppe spese, troppa solitudine. Bisognava ripartire dalla Terza categoria perché non c'erano i soldi per l'iscrizione alla Seconda. Chiesi personalmente al presidente una deroga. Non volle. Attaccai. Si parlava di uno scandalo, di un trasferimento con firma falsa che coinvolgeva Mola e Conversano. Minacciai di sollevare un polverone. Biscozzi s'inalberò, minacciò a sua volta, richiamò i sacri principi sanciti dalle carte federali. Poi, cedette. Democristianamente, In via Cairoli (per anni sede del Comitato regionale), il clima era democristiano. In fondo lo è tuttora. In fondo lo richiede la stessa natura del calcio italico, a qualsiasi latitudine.
Franco Biscozzi mi consegna una targa a ricordo
della presentazione ufficiale del libro da me scritto,
intitolato "Vostra Eccellenza" e dedicato al più
importante campionato regionale del calcio
dilettantistico. Era una sera di luglio del 2003.
Qualche anno dopo, entrato in pianta stabile nella redazione sportiva della Gazzetta, i contatti cominciarono ad essere frequenti. Gli chiesi se fosse possibile entrare in Comitato, creare un Ufficio Stampa che in realtà non c'era. Democristianamente, non mi disse sì. Ma non disse no. E mi offrì la tessera di collaboratore. Che accettai con malcelato orgoglio. Cominciai a seguire la rappresentativa del calcio regionale in trasferta. Per me (allora come oggi) era sempre disponibile una camera d'albergo al Mediterraneo di Napoli, un posto al tavolo vip in una famosa osteria di Trastevere, una poltroncina al miglior bar di Cosenza, di Trevi, di Penne, di Posillipo, insomma ovunque si svolgessero il Torneo delle Regioni o il Torneo delle Due Sicilie, che ho seguito per molti anni embedded.
Franco Biscozzi era un gentleman, difficilmente perdeva l'aplomb, anche quando s'inalberava. Soffriva della sindrome di Atlante ("tutto il mondo grava sulle mie spalle"), ma il senso del lavoro e della presenza continua era connaturato nella sua persona. Amava il calcio visceralmente. Quel calcio che è gioco e sport, ma anche potere ad alta concentrazione. Si fidava ciecamente del suo braccio destro, Vito Tisci. L'attuale "Governatore" del pallone di Puglia era già segretario del Comitato (ruolo strategico, in quella organizzazione) con il presidente Orsini, quando nell'88 l'allora presidente del Settore Giovanile (a quei tempi organismo autonomo rispetto ai dilettanti) sedette sul trono del calcio regionale. Tisci, giovanissimo, rimase nel suo ruolo. Biscozzi governò il football da Apricena a Casarano per sedici anni, quattro mandati. Non erano solo rose e fiori. Nel mondo del calcio sono innumerevoli le strane faccende. E nell'autunno del 2004 decise di ricandidarsi ma trovò un avversario. Era la prima volta dopo tanti anni. Achille Candido, vicerè del Salento accettò la rotta di collisione. Fu caos per alcune settimane. I contendenti sembravano accecati, magari anche per via dell'età, per entrambi piuttosto avanzata: non si resero conto che stavano danneggiando il calcio. Fino a quando, Carlo Tavecchio, grande capo della Lega nazionale Dilettanti, e soprattutto Tonino Matarrese, visto che non c'era verso di convincere una delle due anime del calcio pugliese, quella barese e quella salentina, a farsi da parte, individuarono la terza via. Tisci, perlappunto. Che s'inventò per il suo padre calcistico la carica di presidente onorario.
Un anno abbondante prima, avevo proposto a Biscozzi di aiutarmi nella operazione legata alla pubblicazione del libro "Vostra Eccellenza". Lo trovai pronto, come sempre. Individuammo la formula migliore e a luglio del 2003 la creatura venne alla luce. Lo presentammo a Bari (la foto in alto si riferisce proprio a quella serata), in un locale all'aperto, ai confini della Città Vecchia. E' stato uno dei momenti più belli della mia vita. C'era anche lui, il commendatore, Franco Biscozzi.
A ottantadue anni, "il presidente" se n'è andato. Mercoledì mattina, un blocco renale ha fatto precipitare il quadro clinico. Era ricoverato all'ospedale di Andria. Un pezzo di storia del calcio pugliese, hanno detto. Giusto. Per quel che mi riguarda, lo ricorderò per sempre.

martedì 20 agosto 2013

RODOLFO VALENTINO

Ogni arte ha sempre presupposto un fruitore, da quando però le arti esistono non ce n'è stata una  che abbia avuto fruitori tanto numerosi quanto il cinema, da quel 28 dicembre del 1895 e da quei primi trentatrè spettatori del "Salon Indien" del boulevard des Capucines a Parigi. L'attrazione del cinema è così appassionata e potente da diventare per un verso un bisogno ineliminabile e, per un altro verso, un elemento di tutta intera una società". Così Gianluigi Rondi scrive nella presentazione a una vecchia enciclopedia del cinema edita molti anni fa da Curcio e che fa bella mostra di sé nella mia invero nutrita biblioteca personale. "La storia del cinema è la nostra storia - scrive ancora uno dei più noti critici italiani -. Essa continuerà con noi. Anche per questo il cinema vive. E continua".
Mi sono imbattuto in queste parole cercando informazioni su Rodolfo Valentino (http://it.wikipedia.org/wiki/Rodolfo_Valentino). E ho voluto accennare a Valentino dopo una breve visita a Castellaneta, la cittadina che diede i natali a una delle primissime star del cinema americano.
Come sempre, il mio è un piccolo, modesto invito ad approfondire, a leggere, a pensare, a discutere, a farsi domande e a porne a chi ci troveremo di fronte. E a meravigliarci ancora quando vedremo un film. Quando una storia ci farà piangere o indignare, quando ci sorprenderà o ci farà ridere. Lasciamoci avvolgere dalle immagini potenti proiettate in una sala cinematografica o trasmesse in tivù o diffuse dalla Rete. E chiediamoci cosa saremmo stati se quei due matti dei fratelli Lumiere un giorno avessero inventato la macchina del tempo, il marchingegno che fa muovere le ombre, racconta la realtà e ci accompagna per mano nel mondo che non c'è, Fàntasia.

lunedì 19 agosto 2013

VIAGGI E MIRAGGI / LA CATTEDRALE DI CONVERSANO

Di recente restaurata, la cattedrale di Conversano è uno dei capolavori del romanico in Puglia. Qualche sera fa, in occasione delle manifestazioni per San Rocco (che i conversanesi, confermando la grande attenzione al marketing e alla costruzione dell'evento hanno chiamato San Rocco in Contea), ho visitato la chiesa dedicata all'Assunta.
Splendido edificio, spoglio e austero come si conviene alle costruzioni erette in quel periodo. La maestosità mette quasi soggezione e sicuramente era proprio uno degli obiettivi dei mastri costruttori dell'epoca: il potere ultraterreno di Diopadre e il potere terreno della chiesa trovano il punto d'incontro tra quelle pietre e quei segni. Il pulpito nella sua bellezza intrigante, inquietante e quasi minaccioso ne è un chiaro paradigma.
Come avviene spesso, il potere nobiliare dettato dalla maestosità del castello trova il suo contraltare nel potere temporale di Santa romana chiesa. L'uno dirimpetto all'altro. Un monito dell'uno all'altro.


(http://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_Conversano)

sabato 17 agosto 2013

L'OSSERVATORE ROMANO

L'Osservatore Romano non è un giornale facile. Giovanni Battista Montini, quand'era arcivescovo di Milano, nel 1961, in occasione del centenario del quotidiano, scrisse che "L'Osservatore è un giornale di idee. Non è come moltissimi altri, un semplice organo di informazione; vuol essere, e credo sia, principalmente di formazione. Non vuole soltanto dare notizie. Vuole creare pensieri".
Su e-bay il giornale  che annuncia la morte
di Giovanni Paolo II viene venduto
a 17 euro
Un amico, Vito Grittani, mi ha donato il catalogo di una mostra del 2006, tenutasi a Palazzo Valentini a Roma. Numerosissime le prime pagine del "giornale del Papa", come lo stesso futuro pontefice Paolo VI lo definì, una in particolare mi ha colpito. Una bara scarna, in legno, con sopra un vangelo che, al vento impetuoso di primavera, sfogliava le sue pagine. Una sola grande parole, campeggiava: "Grazie!". Era il 9 aprile 2005. Un sabato. In quelle quattro assi di legno c'era uno dei più grandi papi della storia, Giovanni Paolo II. Grande e controverso, Karol Wojtyla. Un gigante. L'omelia - si legge nella civetta del taglio basso sulla prima pagina dell'Osservatore - è del card. Joseph Ratzinger, decano del Collegio cardinalizio. Di lì a pochi giorni, il sacerdote tedesco sarebbe stato eletto papa, sarebbe diventato Benedetto XVI.
Le copie dell'Osservatore Romano
con l'annuncio della elezione di
Papa Francesco saranno distribuite
durante la festa della Madonna
del Pozzo, a Capurso, su iniziativa di
Vito Grittani
Insieme al libro fotografico,  mi è stato donato il numero del 13 marzo scorso dell'Osservatore Romano. Quello dell'habemus papam. Annuncia un papa che, per primo (e con un ritardo per certi versi inspiegabile tra tanti Pii), avrebbe assunto il nome del santo di Assisi, forse l'uomo che, dopo Cristo, ha innescato una rivoluzione quasi altrettanto radicale.
Francesco, Jorge Mario Bergoglio. Probabilmente, del sacerdote argentino, fra qualche anno, parleremo negli stessi termini. L'uomo che ha cambiato la Chiesa.

Nota a margine. Nonostante la Chiesa sia spesso definita (e in effetti per molti versi lo è) monolite immutabile, guidata da vecchi bacchettoni curiali, essa è stata capace di grandi scelte. Negli ultimi anni quegli uomini, quei vecchi bacchettoni hanno compiuto scelte straordinarie, rivoluzionarie. Per esempio eleggere un prete polacco a capo della Chiesa. O chiamare al soglio di Pietro un prete di Buenos Aires, tifoso di calcio, semplice e umile. Un uomo che, secondo molti osservatori, sta cambiando e cambierà la Chiesa di Cristo. Possibile che l'Italia e gli uomini che sono al suo comando, non sono in grado di fare altrettanto?

IL BIANCO E L'AZZURRO

Ho scattato questa foto in un ristorantino sul mare a Savelletri. Pranzo discreto, servizio da dilettanti. Buona la frittura di pesce, troppo cariche di olio e aglio gli spaghetti, più che quelli alle cozze, quelli ai frutti di mare. La pietanza migliore, le "cozze fritte": mollica (troppo), uova, formaggio, gratinate al punto giusto.
Invero, non volevo parlare di gastronomia.
La foto che ho scattato ritrae la copertura della veranda del locale, che s'affaccia direttamente sul mare. I colori mi hanno colpito: il bianco e l'azzurro. Mi hanno ricordato la Grecia, la Sicilia. E certe poesie che avevo letto sul mare. Ne ho trovata una di Derek Walcott (http://it.wikipedia.org/wiki/Derek_Walcott). "Uve di mare", tratto da una antologia dal titolo "Nelle vene del mare".
"Io sono solo un negro rosso che ama il mare; / ho avuto una buona educazione coloniale; / ho in me dell'olandese, del negro e dell'inglese, / e o sono nessuno o sono una nazione". Così Walcott tratteggiava se stesso con impareggiabile maestria.
Ed ecco "Uve di mare". Un uomo delle Antille che parla del Mediterraneo anche se la sua imbarcazione solca le onde dei Caraibi. Parla del mare che vide le gesta di Ulisse, che fu narrato da Omero. Tanto, tutti i mari sono uguali. In tutti i mari c'è un gigante cieco che solleva la marea. In tutti i mari c'è la vita "che non finirà mai ed è la stessa per il navigante e per chi è a terra".
"Quella vela che s'appoggia alla luce, / stanca delle isole, / una goletta che percorre i Caraibi / verso casa, potrebbe essere Odisseo, / diretto a casa sull'Egeo; /quella brama di marito / e padre, sotto acini aspri e raggrinziti, / è come l'adultero che sente il nome di Nausicaa / in ogni grido di gabbiano.
"Questo non porta pace a nessuno. L'antica guerra / fra ossessione e responsabilità / non finirà mai ed è stata la stessa / per il navigante o per chi è a terra / e ora calza i sandali per incamminarsi verso casa, / da che Troia emise la sua ultima fiamma, / e il masso del gigante cieco sollevò la marea / dalla cui onda lunga i grandi esametri arrivano / alle conclusioni della risacca esausta.
"I classici consolano. Ma non abbastanza".

SLUM / A CAPURSO C'E' POSTA (E RIFIUTI) PER TUTTI

Su un giornale locale lessi qualche tempo fa un po' di storie a proposito del servizio postale a Capurso. Interessanti vicende del tempo che furono. L'invenzione dell'home banking e la diffusione della telematica applicata alle comunicazioni, mi tengono lontano da un luogo che ho frequentato a lungo per molti anni. Per anni sono stato titolare della casella postale 10. Qui trovavo (a volte sì, a volte no) la mia copia della Gazzetta. Qui, i pensionati, per anni, cominciavano a far coda il giorno della pensione, dalle quattro del mattino. A volte litigando, a volte raccontandosi fatti, a volte imprecando contro il governo e il comune. Così, tanto per mostrare che erano vivi. Chiesi un giorno a uno di loro - mi pare si chiamasse Luigi - il perché non aspettassero qualche giorno per prendere la pensione senza code oppure non se la facessero domiciliare sul conto corrente: no, figlio - rispose Michele in dialetto -: perché se io nel frattempo me ne vado allo scaricaturo, la pensione se la deve riprendere la previdenza sociale? Meglio che se la godono i figli miei. Qualche volta fanno i mascalzoni, un nipote è un po' magabbond, ma gli voglio bene. Meglio che se le prendono loro quelle quattro lire che ci danno.
Sono tornato all'ufficio postale - furono costruiti sul finire degli anni Ottanta, tutti uguali. Spettacolo osceno. L'area all'esterno non viene pulita da non so quanti mesi: aghi di pino rinsecchiti dappertutto, a formare una coltre scivolosa e fastidiosa. Cartacce e sporcizia in ogni angolo: il vento dei giorni scorsi s'è divertito a mulinare i rifiuti. Anche l'interno dell'ufficio non mostra un panorama diverso: dappertutto, sul pavimento, fanno bella mostra di sé i tagliandi con i numeri salvacode. Qualcuno si lamenta a voce alta della lentezza degli impiegati, qualcun altro protesta per gli interessi troppo bassi. In alto, su una specie di scaffale, sono esposti libri best-seller, prodotti vari, persino giocattoli. Si possono acquistare a rate telefoni e tablet. Tutto dà l'idea di essere confuso, sporco, disordinato. Gli impiegati - ne sono convinto, ne conosco qualcuno - soffrono anch'essi.
Si stava meglio quando si stava peggio? Certo, in via Lattanzio, con Emanuele, le pretese erano quelle che erano. Ma almeno c'era un po' più di pulizia. Lo sconcio della posta di via Epifania era ancora molto lontano.


giovedì 15 agosto 2013

UNA STORIA DI FAMIGLIA

Primi giorni di giugno del Cinquantanove. Gli sposi al centro sono Maria Tatoli, 22 anni, e Pasquale Prigigallo, 24. La guerra li ha appena sfiorati. Il ricordo delle bombe è lontano. Lui stranamente non ha seguito il padre nel suo mestiere. Fa il sarto. Aveva appreso il mestiere con il maestro Signorile a Capurso e soprattutto con il maestro Pisciotta, uno dei sarti più noti di Bari. Lei ha sempre lavorato nel negozio con madre e padre, assimilando un tuttora indomito spirito del fare.
All'estrema sinistra, Vito Prigigallo; al suo fianco Isabella Mastrolonardo. A destra, Sergio Tatoli, al suo fianco la moglie Maria Giuseppa Cariello.
Tatoli, che tutti a Capurso conoscevano come Seriuccio il nocellaio, è originario di Bisceglie. Lascia la cittadina sul mare da giovanissimo per vendere sapone "attorno". Poi, l'occasione di aprire la bottega, una salumeria in piazza Marconi. Il locale è a piano stradale di un palazzotto di proprietà di una famiglie capursese da tempo migrata a Terlizzi. Nel negozio ci sta anche lei, Peppinella. L'attività funziona. C'è molta clientela di passaggio, oltre a quella paesana, e non solo quella appartenente ai ceti sociali più bassi. Quelli, tanto per intenderci, che paga ogni quindici giorni e i cui conti sono segnati con scrittura incerta su un quaderno nero con i profili esterni dei fogli rossi. La libretta: Bubbù tremiladuecento lire; quella del Bianco diecimilasettecentocinquanta, comma Memmina seimila. Peppinella, la cui famiglia è originaria di Bitonto, un fratello disperso in Russia, un altro "sgammitt" a Milano, non sa né leggere né scrivere. Però sa far di conto. E interpreta la bilancia con straordinaria rapidità: un quinto viene tanto,  un chilo e mezzo tanto. Subito dietro il negozio vero e proprio ci sono i sacchi di iuta pesante della merce sfusa: la "canigghia", il granone, i ceci e gli altri legumi, la farina e la semola. L'abitazione è sul retro. "Esce" sul borgo antico, in una corte dove abitano anche Elisa delle uova e Teresina la Barese. Peppinella alla controra di un'estate che comincia a maggio e finisce a settembre, con la Fiera del Levante, dorme sulle sedie: ne mette in fila due, quelle apri e chiudi, e si stende una mezzoretta. Fino agli anni Sessanta si fa il pane. Maria, quinta figlia dopo quattro fratelli (Peppinella aveva perso altri cinque figli), aiuta a impastare e a infornare. Il momento topico era la festa della Madonna del Pozzo. Seriuccio fa il formaggio nella "stalla", come viene comunemente chiamato un locale a fianco al negozio, all'interno del "portone". La stalla, che con gli animali non ha nulla a che fare, è in realtà un deposito stretto e lungo. E' tappezzato di manifesti cinematografici: c'è Ursus contro l'Idra e Scaramouche. A Seriuccio, evidentemente, piacciono i film di cappa e spada. Qui Seriuccio fa il formaggio "punto". Che è il frutto di un procedimento particolare e molto lungo, co il trucco della ricotta "asc'quanda". Il successo si commisura con  presenza e numero dei vermi, esito di una perfetta fermentazione. Sulla "baracca" che viene allestita nei giorni della festa della Madonna, il formaggio "fradicio" ha un posto d'onore, insieme ai "mignetti", al "tomacchio" e al provolone Auricchio. Subito dietro, appesi a un'asta di ferro, ci sono le bottiglie di stocco e baccalà. Prima che venisse costruita la strada a quattro corsie, la statale cento attraversava il paese e tagliava piazza Marconi. La salumeria è tappa d'obbligo per i camionisti. Quando Seriuccio s'accorge che un autista ha origini settentrionali, non manca di narrare un'impresa, magari in parte inventata, vissuta nel Varesotto, dove ha vissuto per qualche tempo. Si arma di accento lumbard ("Peppinella passami un faggioletto che debbo assupparmi il sudore") e sostiene lunghe discussioni con il camionista, magari mentre disossa un prosciutto crudo di San Daniele. Fuori, al sole feroce dell'estate, transita l'ennesimo gregge di pecore che lastrica il selciato di piazza Marconi di miriadi di palline nere.
Rispettivamente classe 1906 e 1909, Peppinella e Seriuccio lasciano il negozio a metà degli anni Settanta. Lui se ne va per sempre quasi subito. Lei vive ancora a lungo, godendosi una serena vecchiaia.
Vituccio la P'cchj (sull'etimo di questo soprannome nessuno fino ha dato spiegazioni plausibili) è  muratore, anzi fabbricatore per dirla italianizzando un termine dialettale. A lungo "maestro cucchiaio", diventa poi ditta. Ha costruito molto, a Capurso e Triggiano. Non si arricchirà mai, pur avendone avuto forse la possibilità e pur lasciando delle piccole proprietà ai figli. In gioventù ha lavorato a Taranto. Nella città jonica si reca in bicicletta. Suo padre era riservista durante la Grande Guerra. Una sera scappò per incontrare Francesca, la sua donna. Una fuga che gli sarebbe costata cara. Mandato al fronte, di Pasquale non resta che un nome inciso su una delle lapidi del monumento ai caduti, nei giardini pubblici. La moglie qualche anno dopo si sarebbe risposata. Vituccio era nelle liste per l'Armir, il corpo d'armata in partenza per la Russia. A Taranto conobbe un medico che gli suggerisce l'unico modo per non andare in guerra: togliersi tutti i denti. Lo fa. E' dirottato in Albania, con le truppe di occupazione. Una notte è di guardia, con un commilitone di Mondvì. Sente dei rumori, dà l'allarme. Tutti, fifoni come lui, cominciano a sparare all'impazzata. Alle prime luci dell'alba, escono in perlustrazione e scovano il nemico: un mulo disperso, colpito almeno cinquanta volte e morto stecchito. Sabellina lavora al croché. L'avrebbe fatto per lunghi anni. Fa correre il grosso ago di ferro e aspetta che il marito torni dal cantiere. Più che tirchia, è un po' tirata. Al figlio, una volta, comprò un cappotto pesantissimo e di lana grezza. "Mammà, è grande". "Meglio, ti andrà bene fra un paio d'anni". Vituccio è orgoglioso di aver fatto l'assessore. E' amministratore comunale per poco tempo, negli anni Cinquanta. Non ha un carattere facile, ma è molto apprezzato in paese, anche se a volte la sua brutale franchezza lo fa litigare. Una volta, mentre in bicicletta va a Taranto, sulla via di Casamassima, all'altezza delle casermette che gli inglesi avevano costruito dove ora c'è il parco, rinviene un borsone. E' stracolmo di amlire. Lo restituisce all'headquarter, al comando inglese. "Anche se non se lo meritavano", racconta: "per costruire quelle caserme hanno distrutto il castello", dice con un rigurgito di senso civico, riferendosi ai tufi del palazzo marchesale che gli Alleati utilizzarono per costruire i depositi.
Hanno sempre vissuto in via padre Agostino Pacifico. Quanti traini hanno visto passare quei tre scalini della casa a due piani vicino a "Quattrofichi" e al forno di Vincenzo. Classe 1912, Vituccio vive a lungo e si gloria di non aver mai avuto una malattia. Una volta, caduto dalla scala "sopra alla fatica", forse l'ultimo anno prima della pensione, è ricoverato al "Fallacara" di Triggiano. Dove i medici sbagliano l'intervento: la riduzione della frattura provoca una "riduzione" della misura di una gamba". Che, sotto le coperte del letto di ospedale, risulta evidente. Il figlio lo fa notare all'ortopedico, che risponde: e di che si preoccupa, suo padre ha quasi settant'anni. Vituccio soffrirà molto per quella zoppia: si sarebbe fatto costruire una scarpa con una suola di alcuni centimetri per camminare meglio. Sabellina lascia questo mondo anch'ella in tarda età, dopo essere stata per molti anni affetta da una malattia renale che la costringeva all'emodialisi.

VIAGGI E ASSAGGI / IL TITON, A CESENATICO


HO INIZIATO UNA COLLABORAZIONE - CHE INVERO CONFESSO DI SPERARE CHE DIVENTI PROFICUA - CON IL SITO "ORAVGIAGGIANDO.IT" (http://www.oraviaggiando.it/) - IL MIO PRIMO VIAGGIO GASTRONOMICO DA INVIATO MOLTO POCO SPECIALE E' STATO A CESENATICO

RISTORANTE TITON – CESENATICO (FC)

SINTESI
Il Titon è uno dei ristoranti più noti e antichi di Cesenatico, che propone una cucina tradizionale di mare con qualche moderata innovazione.  Ubicato in un’antica palazzina del seicento, è frequentato da una clientela alla ricerca di tranquillità in un ambiente familiare ma dove la professionalità in cucina è molto alta e le materie prime utilizzate sono di primissima scelta. Si affaccia sul porto canale di Cesenatico, uno dei luoghi più frequentati della nota località balneare adriatica e, con un conto medio di circa 35/37 euro, permette di assaporare un pasto tutto a base di ottimo pesce locale cucinato dal bravo chef Claudio Malpezzi, dai solidi studi alberghieri e che annovera un’importante esperienza a Cannes presso lo chef Roger Vergè. 

STORIA
Anche quando ha sostituito il ditone (“titon”, in romagnolo) con il fiaschetto del vino, si è continuato a soprannominarlo Titon. Erano altri tempi: si suonava, si beveva, l’osteria era un ritrovo dove farsi un bicchiere e stramaledire padroni e governi. E sbeffeggiare Titon che, tra un sorso e l’altro, imperterrito, tornava bambino succhiandosi il pollice.
Oggi il Titon è uno dei ristoranti più noti della zona. E l’anno prossimo compie sessant’anni. È una delle più vecchie licenze di Cesenatico: risale appunto al 1954. <L’abbiamo rilevato nel 2008 – spiega Massimo Malpezzi -. Io e Alexandra lavoriamo in sala. Mio fratello Claudio e mio padre Alberto stanno in cucina. Lui, mio padre dico, per tutti qui è “lo chef”. È stato socio del Caminetto di Milano Marittima, dove ha lavorato per quarant’anni. Fino a quando non ha deciso che era tempo di svolte e di aiutare noi figli a inventarci una strada>.

AMBIENTE

Il Titon (www.titon.it) non si rivolge a una clientela specifica. Anche se la tradizione è dura a morire. Il senso ce lo spiega Maplezzi: <I clienti, in linea di massima, hanno superato la cinquantina. E possono essere ascritti ad una fascia medio-alta. Ciò significa anche che il nostro è un posto che fa di tranquillità e genuinità le armi migliori L’accoglienza è la stessa per tutti: aria familiare, ma al contempo, professionalità altissima>.

Titon, se proprio si deve dare una definizione, propone una cucina tradizionale di mare, con qualche innovazione, qua e là. I crudi, per esempio, sono innovativi rispetto alla tradizione romagnola.
Il cuoco è il fratello di Massimo, Claudio. Solidi studi alberghieri, si è formato a Castrocaro e poi vanta uno stage a Cannes, con il guru Roger Vergé. Ha dalla sua una grande fortuna: avere un “assistente” che è al tempo stesso il suo maestro. Il padre Alberto. “Lo chef”, appunto.
Con una base di pesce di rilievo, il piatto più apprezzato dagli avventori è un risotto: <Dove il pescato non si vede – spiega Malpezzi -. Il brodetto di paganelli, un pesce povero da esca, viene passato al setaccio e il brodo, l’umore, viene utilizzato per un risotto rosso. Ha grandi estimatori. Ma anche qualche detrattore a cui proprio non piace l’uso del pomodoro>. Poi, del pesce in padella, scampi con fagioli dell’Alto Casentino, calamaretti fritti. E si fa in “casa” il pane: straordinario quello al nero di seppia.
Cesenatico ha un importante mercato ittico. Tappa obbligata, dunque. Per il resto, ci si rivolge ai piccoli produttori locali. L’importante è <che abbia un requisito essenziale: la qualità>.
Massimo viaggia spesso, anche grazie ad una attività legata al cicloturismo che lo porta spesso negli Stati Uniti, che ama moltissimo, a cominciare dalla sua seconda patria, il Colorado. E proprio a un americano potrebbe descrivere il Titon: <Una palazzina del Tardo Seicento, con soffitto in legno e travi a vista. L’ambiente elegante può dare un po’ di soggezione, ma poi tutto passa. C’è una sala più grande, una più riservata , con il camino, un cortile interno con dehor e, sul davanti, una pedana coperta sul canale>.

DEGUSTAZIONE

Un menù degustazione non può prescindere, almeno in inverno, da una zuppettina, tanto per cominciare. Gli assaggi in attesa dei primi piatti vanno dal tonno scottato alla cipolla di Tropea alle mazzancolle al sale, dai sardoncini marinati alla cesenaticense all’insalata di mare. Dopo il risotto al Titon, un must della casa come si accennava, una zuppa di mare con cozze, vongole e frutta di mare. Quindi, la parmigiana di melanzane con pesce: un piatto che ha vinto anche un premio. La conclusione è affidata a un semifreddo ai fichi caramellati. La media del conto è tra i 35 e i 37 euro.

Il Titon ha 120 coperti. Obiettivo dei Malpezzi padre e figli è allargare, se non proprio conquistare, la fascia dei trenta-quarantenni.
La vicinanza al Municipio di Cesenatico e la presenza di salette che possono ospitare – e spesso lo fa – incontri post-prandiali. Sia che riguardino l’amministrazione pubblica, che organizzazioni private per piccoli meeting da unire al buon cibo.
Cesenatico è una stazione balneare della Riviera Romagnola. Caratterizzata dalla presenza di una serie di canali. E proprio sul “porto-canale” sorge il Titon. La cittadina, che conta poco meno di trentamila abitanti, può essere il campo-base per un tour da Rimini a Riccione, da Milano Marittima a Gabicce. Cesenatico è sede di un corso di laurea in Acquacoltura e Ittiopatologia del Polo universitario di Cesena che fa capo alla gloriosa Università di Bologna.
Il Titon in estate è aperto tutte le sere, sabato, domenica e festivi anche a pranzo. In inverno lavora molto la domenica mezzogiorno e spesso la domenica sera, oltre che il lunedì, è chiuso. <Offriamo solo pesce fresco – precisa Massimo Malpezzi - e la domenica va esaurito quasi sempre>. A febbraio è aperto solo dal venerdì alla domenica.

Per leggere l'articolo sul sito: http://www.oraviaggiando.it/ristorante-titon-cesenatico-ristoranti-pesce/7309/recensione/
Le foto sono tratte dal sito Internet del ristorante

martedì 13 agosto 2013

VIAGGI E MIRAGGI / TRANI


Amo Trani almeno quanto Conversano, anche se in quest'ultima cittadina il mio legame è stato consolidato da una luna e alquanto proficua esperienza lavorativa presso il Comune. Ci vado spesso, per diletto o per ragioni legate al calci. Come ho già scritto qualche blog fa, sono stato a Trani in occasione della manifestazione Calici di stelle.
Durante la quale sono state organizzate visite guidate ad alcuni centri di particolare interesse. Tra queste la chiesa dedicata a Santa Teresa d'Avila - http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Santa_Teresa_(Trani) -, nella foto a sinistra, e la magnifica cattedrale - http://it.wikipedia.org/wiki/Cattedrale_di_Trani -, sotto a destra, il campanile. Della cattedrale sul mare si può dire di tutto. Nella vita, oltre al Colosseo e al Duomo, alla Torre Eiffel e al Partenone, al Golden Gate e all'ESB, almeno una volta, bisognerebbe andare a Trani. Sedersi da qualche parte sull'ampia piazza che correda la cattedrale e guardarla stagliarsi nel cielo azzurro che solo la Puglia sa offrire in quella particolare monocromia. Se poi pensi che a un passo c'è il mare, beh, l'emozione potrebbe anche sopraffarti.
Le ho fotografate come sempre con il mio multifunzione Blackberry. Le foto, come di consueto, non sono un granché. Ma testimoniano del fascino irresistibile che questi ed altri monumenti tranesi e pugliesi più in generale sprigionano. E quindi le offro unicamente come spunto per una riflessione su quanto di bello gli uomini sono riusciti a costruire, e magari per ulteriori ricerche, iconografiche, storiche e architettoniche che su Trani si possono fare. Magari prendendo spunto da wikipedia, per poi passare a testi più specifici.

lunedì 12 agosto 2013

PERSONE / VITO TISCI

LUNEDI' 11 AGOSTO LA GAZZETTA HA PUBBLICATO QUESTA INTERVISTA AL PRESIDENTE DEL COMITATO REGIONALE PUGLIESE DELLA LEGA NAZIONALE DILETTANTI. VITO TISCI - DA ALCUNI DEFINITO "GOVERNATORE" DEL PALLONE DI PUGLIA - E' STATO ELETTO PER LA PRIMA VOLTA A NOVEMBRE DEL 2004.

La calda estate del Governatore non si è conclusa. E minaccia di essere ancora più torrida. Vista la moria di squadre, il consiglio del Comitato regionale ha deciso di riaprire i termini per l’iscrizione in Prima e Seconda categoria. Tutto rinviato al 2 settembre: un aiutino a club in gravi difficoltà economiche e organizzative.
Vito Tisci e, alla sua sinistra, Carlo Tavecchio, numero uno
della Lega dilettanti e vice di Abete in Federcalcio
Che la crisi entri col piede a martello sulle caviglie del calcio nostrano è dimostrato dal record stabilito e certificato venerdì pomeriggio: tre squadre di Eccellenza inghiottite dai gorghi, sei ripescaggi in Eccellenza e ben nove in Promozione.
Eppure, Vito Tisci vede il bicchiere mezzo pieno. <Non voglio chiudere gli occhi e tapparmi le orecchie: dico che la stagione si è conclusa con la bella vittoria del San Severo, matricola in Eccellenza, con i playoff nazionali vinti dal Manfredonia, con il Cerignola finalista della Coppa Italia e con il Grottaglie ripescato in D. Se poi aggiungiamo che l’Andria dovrà ripartire dall’Eccellenza per decreto e che nessuno voleva un campionato a 17, ecco che molti ripescaggi sono giustificati. Certo, fa male perdere realtà importanti come l’Audace, la Fortis o la Polimnia. Mi sarei assunta la responsabilità di una deroga “ad personam” per salvare il salvabile, ma non c’è stato nulla da fare>.
Cerignola, perlappunto.
<La scelta dei dirigenti lascia interdetti. Mi auguro che disputi la D, ma avrei gradito un qualche coinvolgimento. Invece, nulla>.
Al terzo mandato da presidente del Crp, Vito Tisci, 53 anni, originario di Acquaviva delle Fonti, è partito per le quanto mai meritate vacanze. Sono stati giorni lunghi, oltreché caldi.
<Purtroppo non c’è un ricambio generazionale, né tra gli imprenditori che si dedicano al calcio e neppure tra i volontari, quella schiera di segretari, assistenti, soci, che sono la spina dorsale dello sport dilettantistico. E in una congiuntura sfavorevole come questa, il calcio ne risente. Eppure, voglio pensare in positivo: abbiamo 130-140 iscrizioni per ciascuno dei campionati giovanili. La Puglia, forse per la prima volta, ha più società del settore giovanile puro che dei dilettanti>.
Governatore, l’Eccellenza torna a diciotto. Per molti, la dimensione ottimale di un campionato così importante.
<In realtà c’è qualcuno che non vuole gli impegni infrasettimanali. In ogni caso, si preannuncia un torneo appassionante. Basti citare l’Andria, il Gallipoli, il Casarano>.
E il Trani?
<Se il riferimento è ai nuovi dirigenti tranesi del Terlizzi che giocherà in deroga allo stadio di Trani, ben venga un’altra squadra competitiva. Non dimenticherei le salentine Galatina e Copertino, o il Mola, in grado di allestire buone formazioni >.
Due esordi.
<La Sudest è reduce da una stagione straordinaria, l’Ascoli Satriano del patron Roccia (nuovo allenatore è Pietro Maiellaro, ndr) è una piccola ma solida realtà>.
E due ritorni.
<Castellaneta mancava dall’Eccellenza da un bel po’. Sono contento anche per l’Ostuni, tornato a Luca Marzio>.
Torniamo ai dolori del calcio di Puglia. L’Agenzia delle Entrate rischia di diventare un serial-killer.
<Carlo Tavecchio (presidente della Lega dilettanti, ndr) ha incontrato il direttore generale Befera. Ha chiesto di essere più tolleranti. Ma le leggi sul fisco vanno comunque rispettate. Le agevolazioni ci sono, dobbiamo farle bastare. Dobbiamo capire che la correttezza è fondamentale. Se non hai pagato l’iva, puoi ravvederti, puoi concordare, puoi rateizzare, ma non credo ci sia molto altro da fare>.
E poi ci sono gli stadi ammaccati.
<È stato fatto il primo censimento degli impianti. La situazione è difficile. Trentotto sono da mettere a norma. Ma i comuni hanno i loro problemi. Qualche risultato raggiunto, anche se l’anno scorso sono stati realizzati solo due terreni di gioco in erba artificiale. Un altro segnale della crisi>.

Tempi di spending-review anche in via Nicola Pende. La presentazione dei calendari, forse il 27 agosto, si farà nella saletta delle riunioni della Football House. A novembre, invece, nel corso dell’assemblea plenaria, la sostituzione di Italo Caratù, il consigliere di Manfredonia scomparso a marzo scorso.

SAGRE E DINTORNI / TRANI, TURI, SAN VITO E TRIGGIANO

Mi piace segnalare alcuni eventi svoltisi in vari angoli della Terra di Bari nelle ultime sere.
La presentazione di Calici di stelle, a Trani. A destra,
l'assessore regionale Fabrizio Nardoni e il sindaco
Luigi Nicola Riserbato
A Trani c'è stata la kermesse di Calici di stelle. Trani è splendida. La manifestazione, organizzata in modo impeccabile, ha visto la partecipazione di molte decine di cantine. Dietro uno dei candidi banchetti dislocati nel centro storico - dalla banchina del porto alla piazza della cattedrale - ho ritrovato un vecchio amico, Mimmo Scarpetta. Imparentato con il grande commediografo Eduardo Scarpetta, una laurea in architettura e soprattutto fine sommellier.
Giovanni Addante alle prese con il suo padellone. Sulle
note di Fabrizio De Andrè offerte da Pasquale Guerra,
ha preparato cavatelli ai frutti di mare e ceci per oltre
cento persone
A Triggiano, Pasquale Guerra ha offerto un concerto dedicato a Fabrizio De Andrè. Tra le ultime canzoni del grande genovese, una delle liriche che amo di più, Disamistade ("un'assenza apparecchiata per cena"), storia di una faida infinita tra due famiglie disarmate di sangue e le cui donne sono schierate a resa e in attesa dell'ennesimo scoppio di sangue (https://www.youtube.com/watch?v=79l-Zv7U1zA). Oltre agli standard di Faber, Guerra, insieme ai suoi amici (tra cui il chitarrista Pino Mazzarano, che ha offerto sprazzi dei suoi virtuosismi), ha offerto Princesa (la storia di un trans brasiliano che finisce per convivere con un avvocato milanese) e Dolcenera (l'amore forte e sensuale della moglie di Anselmo mentre fuori infuria una delle alluvioni che periodicamente colpisce Genova). Il concerto, tenuto nel cortile della scuola don Bosco, ha avuto un curioso prologo. Pasquale Guerra festeggiava i 64 anni. L'ha fatto offrendo l'esibizione di Giovanni Addante. Il quale s'è esibito con uno strumento molto particolare. Il Padellone. Con il quale ha preparato degli ottimi cavatelli con ceci e frutti di mare.
A San Vito, borgo marinaro pochi chilometri prima di Polignano a Mare, si è svolta la sagra "Il ballo di San Vito". Posto suggestivo. Tra il mare e i campi di ortaggi (questa è terra che produce ottime carote) c'è una suggestiva costruzione, l'abbazia (http://www.polignanoamare.com/it/da-vedere/labbazia-di-san-vito-008.html). Scenografia unica per il concerto di un gruppo di cui non ricordo il nome. E che tuttavia, non ha offerto la solita pizzica in tutte le salse. Ma ha consentito di fare un viaggio dal Salento alla Transilvania, dai cieli d'Irlanda alla Puszta ungherese, passando per la musicalità partenopea.
Turi produce ciliegie e percoche. La sagra dedicata alla particolare pesca non era in grado di suscitare particolari interessi. C'erano stand che propinavano arancini siciliani e sfogliatelle napoletane, tutt'altro che squisite. Ci sono casi in cui municipi, associazioni e piccoli imprenditori pare siano quasi costretti ad organizzare sagre. La stessa Turi, per esempio, già preannuncia (starei per dire minaccia, se il tono è quello dell'altra sera) la sagra dei "tronere" (braciole di carne) e della faldacchea (http://www.youtube.com/watch?v=_-9fLCeXT5Y). (noterella a latere: le percoche acquistate erano insipide; non capisco come sia possibile vendere pessime percoche alla sagra a questo meraviglioso frutto dedicata).

sabato 10 agosto 2013

PERSONE / PROFILI MONOPOLITANI

Monopoli, Capitolo, lido Bellifreschi. Un giorno d'agosto. Un carnaio. La spiaggia - soprattutto se la location è nazionalpopolare - è una macelleria sociale. Gli umani sono messi a nudo, letteralmente. Possiamo tracciare un profilo antropologico e sociologico dell'umanità presente. E invece - a proposito di profili - l'unico che siamo in g
rado di disegnare, è quello che ci consente "Piero" (lo chiameremo così). Piero se ne è stato oltre mezz'ora in quella posa statuaria, quasi ieratica. Scopriremo dopo che non stava contemplando il moto perpetuo del mare o ammirando la pelle ambrata di una splendida quarantenne con i tratti latinoamericani. No. S'era semplicemente perso dietro le acrobazie acquatiche di un nipotino di pochi anni. Guardandolo, Piero, era il ritratto della felicità. In quel momento - bronzo di Riace - nulla avrebbe potuto alterare il suo stato di grazia. Ho invidiato Piero: la crisi, il lavoro che non c'è, la politica che non funziona. Tutto nascosto dietro il profilo collinare perfetto del suo addome così prominente da sembrare protesico. Ciao, Piero, se mai un giorno ti rincontrerò, ti verrò incontro, ti stringerò la mano e mi congratulerò con te. Tu non capirai, penserai a uno scherzo, magari ti offenderai e penserai che sono un pazzo. Proverò a spiegarti l'inspiegabile. Poi ti offrirò qualcosa al bar. E forse diverremo amici. Spiegandoti che è tuo dovere spiegarmi il segreto della felicità.

PALLONI / PADRI E FIGLI: NICOLA E GABRIELE TURI




In un montaggio, Nicola Turi, a destra, in presa alta,
ai tempi del Monopoli, e Gabriele, a sinistra
E' UNO DEGLI ARTICOLI DEDICATI AI PADRI CALCIATORI DI FIGLI CALCIATORI, PUBBLICATI DALLA GAZZETTA, NELLA PAGINA DELLO SPORTBARESE, NEI GIORNI SCORSI

Largo Due Giugno, primavera del ’99. Un  bimbetto di poco più di tre anni gioca a palla con il papà. Un amico si avvicina: <Uagliò, ma sai che questo è già meglio di te. Si vede da come si butta>. A Nicola Turi sobbalza il cuore. Vuoi vedere che questo piccoletto diventa davvero migliore del padre? Lo stesso tuffo al muscolo cardiaco il 51enne imprenditore barese l’ha avuto qualche settimana fa: Gabriele Turi va al Monopoli. Sì, giocherà proprio al “Vito Simone Veneziani”, dove Nicola vive due stagioni straordinarie. Nel 1983-84, l’anno della scalata alla C1, gioca solo due partite. Il titolare è Domenico Delli Pizzi. <Fu un’esperienza bellissima, formativa. Avevo solo ventunanni e all’epoca per un portiere erano davvero pochi>. <Giocò con il Galatina di Angelo Carrano – racconta Pino Sportelli, giornalista, oggi dirigente del Monopoli, tra le memorie storiche più lucide del calcio biancoverde -. Le perdemmo entrambe e rischiammo di non arrivare neppure secondi. Ma di Nicola ho un ricordo vivido: ragazzo eccellente, intelligente, e poi leggeva molto. Non capiti spesso di trovare calciatori così>. Sorride, e con una punta di compiacimento Nicola conferma: <Anche oggi mi piace leggere: saggi, molti gialli. Sto cercando di far apprezzare i libri anche a mio figlio. Tra le prime cose che ho chiesto alla dirigenza del Monopoli c’è proprio la possibilità che il ragazzo, che deve fare il quarto Ragioneria, possa continuare a studiare. È una società straordinaria per quello sta facendo e per come lo sta facendo, fra l’altro in un momento molto difficile>.
Torniamo al cuore e ai suoi sobbalzi. Al Monopoli Gabriele ritrova due icone del calcio pugliese, Vito Laruccia, presidente onorario, e Mario Russo, direttore generale. <Trent’anni fa Laruccia era presidente e mister Russo l’allenatore>. Non sembri piaggeria, dice Nicola, titolare di un’impresa del settore mobiliero con oltre duecento dipendenti, <erano e sono persone straordinarie. Laruccia, poi, è imprenditore e dirigente che sa di calcio. E’ tornato con l’entusiasmo di un ragazzino. Come Russo non credo che esistano in giro intendintori di calcio come lui>.
Non solo Gabriele nella famiglia Turi. I rampolli sono addirittura tre. E se Gabriele comincia la sua carriera “da grande” dalla Juniores della Serie D, Pasquale Turi gioca nel Siena in B come esterno sinistro e Nicola Turi, promettentissimo 15enne, è andato alle giovanili del Toro. E infine c’è l’Aurora Bari, una sorta di ramo d’azienda, per dire quanto il calcio permei la vita della famiglia barese. <Bari ha ottime società giovanili, dalla Wonderful all’Accademia, dalla Pro Inter alla Di Cagno. Peccato che manchi l’elemento trainante, il grande club professionistico. I Matarrese hanno molti meriti, ma certo non quello di aver sviluppato negli ultimi anni il settore giovanile. Pensiamo alla incredibile mancanza di un centro sportivo>. Tornano i ricordi. <Nei primi anni Ottanta si sviluppò un vero e proprio fenomeno: era il Bari di Catuzzi. C’ero anch’io con Giorgio De Trizio, Giovanni Loseto, Angelo Terracenere. A Monopoli ritrovai Pierino Armenise, la buonanima di Luciano Volarig, Pino Giusto>. Una nidiata eccezionale che porterà indelebile il segno lasciato dal mister di Parma.
Turi, i genitori spesso rischiano di essere la rovina dei figli. <E’ vero. Troppe aspettative, troppi sogni che finiscono per diventare illusioni. E poi, quando il ragazzo “non riesce” l’amarezza è cento volte più forte. E la colpa è sempre degli altri, dell’allenatore che non capisce, del presidente che non sa gestire. Il calcio e lo sport in genere invece vanno presi per quelli che sono: s’impara a stare nel gruppo, è scuola di vita per il rispetto dei ruoli e delle gerarchie, principi che difficilmente oggi vengono digeriti da giovani che hanno tutto>. Tranne la prospettiva di un lavoro. <Anche per questo ho detto a Gabriele di giocare, di mettercela tutta, ma di non dimenticare che la cosa più importante è studiare e imparare un mestiere>. Per diventare come Buffon c’è sempre tempo.

PALLONI / UN VALENZANESE IN RUSSIA

Davide Lubes è in piedi, a destra, in posa con ragazzini
e colleghi della scuola calcio sul campo di Shuya,
nei pressi di Ivanovo, in Russia

L'INTERVISTA E' APPARSA QUALCHE GIORNO FA SULLA PAGINA SPORTBARESE DE LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO

Shuya è nel cuore della Russia, nella Oblast (distretto) di Ivanovo. È qui, a trecento chilometri da Mosca, che vive Davide Lubes. Valenzanese doc, 25 anni, trascorsi da calciatore di provincia, ha accettato l’offerta di lavorare con un drappello di italiani che lavorano con Marco Garavaglia. Nel mondo del calcio. <Nonostante un grave infortunio subito a Riccione, avevo voglia di rimanere in questo mondo. Ho deciso, però di cambiare strada – racconta Davide -. L'estate scorsa ho sostenuto i test d'ingresso per la facoltà di Scienze motorie all’Università di Milano. Dove ho conosciuto il professor Alessandro Musicco, a cui devo molto>. Musicco è stato per anni nel settore giovanile del Milan, poi allenatore di Lecco e Pro Sesto ed ora è opinionista per Sky. <È stato lui prosegue Lubes a proporre me e il collega di Como Davide Marte per un progetto in Russia patrocinato dal Milan e dal Milanello Lab. Ci ha presentato Elio Garavaglia (per ventanni nel settore giovanile del Milan, stretto collaboratore di Franco Baresi e Mauro Tassotti, lo scorso anno al fianco di Beppe Sannino al Palermo, ndr). Io e Marte ora lavoriamo con Garavaglia e coordiniamo tutte le categorie giovanili dell'Accademia europea di calcio del presidente Sandro Meregalli, imprenditore comasco che da qualche anno sta investendo in progetti legati al calcio>. L'Accademia di Shuya ha l'obiettivo di far crescere e formare piccoli calciatori. E lo scopo affatto celato di piazzarli nei settori giovanili dei migliori club russi.
Gli “italiani della steppa” si sono proposti di <portare le nostre metodologie calcistiche in un paese che, in generale, è povero di calcio. L’obiettivo del progetto è creare una squadra che parta dalla serie C russa – spiega Lubes -. Sono qui da fine maggio e i primi risultati si vedono: abbiamo due ragazzi opzionati da Como e Lugano>.E il futuro? <Mi auguro di proseguire a lungo la collaborazione con Meregalli e seguire le carriere di Musicco e Garavaglia, che si stanno rivelando straordinari maestri>.
Il ragazzo cresciuto alla scuola calcio di Gigi Nicassio, dopo aver giocato con Valenzano, Pro Gioia, Capurso, Altamura, Tempio Pausania e Scandicci, ci prova dunque, nel sub-continente Russia. E con la nostalgia, come la mettiamo? Valenzano, Bari e la Puglia mi mancano molto. Fra non molto farò un salto per riabbracciare la mia fidanzata, gli amici, i parenti. E soprattutto i miei genitori, a cui devo tutto>.
Torniamo in Russia. <Si nota, eccome, un divario che al momento mi pare incolmabile tra ricchezza e povertà. Non so come fosse prima con il comunismo, ma quella di oggi resta una realtà molto diversa dalla nostra. Che tuttavia trovo molto affascinante!> E Shuya e Ivanovo? <Comunità che non sono povere, anzi. C’è, questo sì, molta umiltà>.
Ancora calcio. A Shuya è stato di recente anche Capello, ct della Russia. Don Fabio dovrebbe tornare a breve: <È stato molto emozionante, il maestro ha un eroe fascino>. Ora bisogna tornare agli studi, per ottenere la laurea breve: <È un’altra scommessa con me stesso>.

sabato 3 agosto 2013

PALLONI / TERLIZZI CITTA' SENZA CALCIO


Questo articolo-intervista è stato pubblicato qualche giorno fa sulle pagine dello Sportbarese de La Gazzetta del Mezzogiorno.
TERLIZZI - Sembrava un mito, un al lupo al lupo, una boutade in cui tutti i patron del pallone di Puglia sono attori abili e incontestabili: me ne vado, lascio tutto, non mi meritano, non mi aiutano e che credono di aver trovato il ricco scemo o la mucca da mungere? Minacce a vuoto, dimissioni ventilate ma mai rassegnate. Al primo gol tutto tornava come prima. Stavolta, Salvatore "Titti" D'Alesio e stato di parola. Se n'e andato. E non certo socchiudendo la porta. La formalizzazione della cessione del titolo e avvenuta giovedì sera nello studio del notaio-patron, a Terlizzi, in pieno centro. Quando Gianluca Frascati, uno dei collaboratori più stretti sul fronte calcio di D'Alesio, e presidente agli atti della Federcalcio, ha firmato l'accordo con i subentranti, pare che l'ormai ex numero uno rossoblu non sia
Salvatore "Titti" D'Alesio
riuscito a trattenere le lacrime. <Non dormo da alcune notti, sogno i gol di Manzari, l'abbraccio dei tifosi, lo striscione di quando sono venuto a Terlizzi come vicepresidente del Monopoli. Ho gli incubi della tante maleparole che mi sono state dette, delle botte prese a Cerignola. Un pezzo della mia vita finisce e non poteva continuare, non c'erano più le condizioni>.
La nuova leadership ha chiesto espressamente di non rendere noti i nomi. Scelta stramba in un mondo di apparenze e apparizioni. Il nuovo Terlizzi chiederà la deroga per giocare a Trani. I dirigenti sono imprenditori della città marinara. <Posso dire che una prima trattativa era stata condotta con la cordata guidata da Michele Danza che poi ha rilevato il Real Modugno. I nuovi dovevano convivere coi vecchi soci terlizzesi. Ma la trattativa s'e subito arenata sul nome del tecnico>. A Terlizzi si puntava sulla conferma di Benny Costantino, i baresi "portavano" Michele Carella, che in rossoblu vinse la Promozione nel 2008. 
Il divorzio tra D'Alesio e il Terlizzi arriva dopo una stagione turbolenta. Che tuttavia ha rischiato di portare la squadra in D. Dopo un finale effervescente, con gli uomini contati e la coppia Sasanelli-Costantino in panchina al posto i Pino Giusto, Tenzone e soci hanno sfiorato il colpo al "Miramare", teatro della finale playoff regionale col Manfredonia.
Ninni Gemmato
Deluso il sindaco di Terllizzi Ninni Gemmato: <Non e una bella notizia. Ma ho la coscienza a posto - dice il primo cittadino, visto spesso alla stadio Comunale -. Abbiamo provato a parlare con i nuovi imprenditori, senza risultati concreti. Avevo chiesto che sottoscrivessero, insieme al trasferimento del titolo sportivo, l'impegno a giocare a Terlizzi, com'era giusto che fosse. Non ho avuto più notizie, e per questo sono sinceramente contrariato, anche se tutto sommato spero che la situazione possa ancora evolvere in senso positivo>. Se invece la città dei fiori dovesse restare senza calcio? <Beh, mi piacerebbe che si ripartisse da zero, come accaduto dodici anni fa. E magari con un calcio più attento ai giovani terlizzesi, concepito con meno risorse e più lungimiranza>.
D'Alesio rilevò il club nel 2002, in Terza. Da allora ha scalato tutte le categorie dei dilettanti regionali, fino all'Eccellenza conquistata nel 2008. Con tre playoff persi, i rimpianti sono d'obbligo: <Quello più grande resta la finale di Bisceglie con quel gol di Persia al 94' subito in condizioni assurde>. Forse quel giorno comincio il lungo addio formalizzato il 25 luglio. Fatti e misfatti che, assicura il notaio, finiranno in un libro <piccante e provocatorio> che uscirà a fine estate per i tipi dell’editore Nicholaus.